Penso che, consapevolmente o inconsapevolmente almeno una volta sia capitato a tutti di brassarne una, American Amber Ale!
Non è di certo uno degli stili più comuni, infatti difficilmente al pub, tra lager, stout o IPA di vario genere e tipo si riesce a trovare una classica Amber Ale, però in casa, tra i primi kit di malto luppolato o tra le prime esperienze di produzione casalinga ci si ritrova spesso con qualcosa di vagamente simile a una American Amber Ale, che poi magari è una Bitter o chi lo sa.. insomma, una birra Amber!
Ma di cosa stiamo parlando..
A livello storico, c’è poco da dire, rientra in quella serie di stili improntati da un tocco “ammericano” che prende come base di partenza stili storici più British o tendenzialmente Europei. Come per IPA e Stout anche le birre Ambrate come English Pale Ale e Strong Bitter sono state “copiate” o semplicemente riadattate dai birrai oltreoceano.
Non si tratta solo di ingredienti di partenza diversi, ma anche di approcci tipicamente americani improntati sul “de più” che hanno portato a una evoluzione rispetto ai cugini anglosassoni.
Ma se da una parte la denominazione “American” potrebbe spingerci a gettare valanghe di luppolo come se non ci fosse un domani, dall’altra bisogna tenere il freno a mano tirato per evitare di non cadere nell’errore di sfociare nelle IPA o in una delle sue 200 declinazioni.
Quindi vediamo che dice il BJCP.
Siamo nella categoria 19, Amber and Brown American Beer, dove le American Amber Ale 19 A sono in compagnia di California Common e American Brown Ale.
A seguire i punti chiave dello stile.
Medio-basso tenore alcolico da 4.5% - 6.2%;
densità iniziale da 1.045 - 1.060;
amaro importante tra 25 e 40 IBU;
colore da ambrato intenso a marrone ramato (SRM: 10 - 17);
il luppolo, ben presente, sia in amaro che in aroma con caratteristiche tipicamente americane;
malto in primo piano, caramello importante ad accompagnare le note maltate, biscottate e tostate in secondo piano;
profilo di fermentazione neutro tipicamente americano;
corpo da medio a medio-pieno;
carbonazione da moderata a elevata.
L’equilibrio è intermedio, con malto e luppolo ben presenti. Il rapporto BU/GU spazia da 0.48 a 0.76… decisamente minore rispetto a un IPA.
Per quanto riguarda gli ingredienti si possono provare varie strade, ma non si può fare a meno del “caramello”. Quindi Crystal obbligatori, in quantità importanti, anche fino a 15% per i più coraggiosi.
Ma senza malti base la birra non si fa, quindi Pale o Pilsner o mix di entrambi ma anche Monaco, Vienna o Malto di Frumento.
Per quanto riguarda i malti speciali, come detto, Crystal protagonista, ma di Crystal ce ne sono di tanti tipi ed è fondamentale cercare di “complicare” un po’ le cose cercando colorazioni diverse per raggiungere una maggiore complessità di gusto.
Ad accompagnare con note più di panificato/biscottato si può utilizzare i classici Biscuit, Aromatic, Melanoidin o Amber o similari.
Malti scuri con molta discrezione, solo per dare colore, evitando che sia d’impatto al gusto e in aroma. Vedo non Sento!
Il mash si può fare con un'unica sosta o multi-step, come per tutte le birre. Ma in questo caso ha poco senso il multi-step. Monostep a 67-68°C è una buona soluzione.
A seguire una tabella indicativa con i quantitativi consigliati:
Per quanto riguarda i luppoli, necessaria la scelta americana, con classici aromi di agrumi, fiori, pino, resina, spezie, frutta tropicale etc.
Per quanto riguarda le gettate, storicamente, in questo tipo di birra le gettate sono preferite a caldo, un approccio old-school, ma non è raro e non è vietato l’utilizzo di gettate in post-boil e a freddo. In questo caso senza esagerare, non è un IPA. Ormai in post-bollitura qualcosa ce lo mettiamo sempre, aldilà delle tradizioni.
Lievito americano neutro, e non si sbaglia, quindi ceppo Chico WY1056 o WLP001, ma va più che bene il classico secco US-05 o BRY-97.
Infine, l’acqua, che in questa birra può fare davvero la differenza, visto l’equilibrio precario e il grande apporto di malti e luppolo. Come primo tentativo meglio scegliere un approccio bilanciato con rapporto solfati/cloruri intorno a 1 da spostare leggermente verso valori più alti o bassi, in base alla ricetta.
Carbonazione da moderata a importante, intorno a 2.6 vol di CO2.
In conclusione, una birra che può essere interpretata in vari modi, con versioni più improntate sul malto ed altre incentrate maggiormente sul luppolo, ma in entrambi i casi l’equilibrio è fondamentale perché non deve essere né un “mappazzone” troppo dolce e stucchevole, ma nemmeno una bomba luppolata in contrasto con il profilo caramellato che queste birre obbligatoriamente devono avere.
Una birra democratica, da bere con semplicità senza aspettarsi grossi miracoli.
Nella prossima puntata la versione di casa FailBeer in collaborazione con Daniele Iuppariello di Officina Briù.